sabato 30 agosto 2008

It’s very sick

«It’s very sick»: è molto malato. Con questa espressione, in Zimbabwe, la gente indica chi è malato di Aids, tabù quasi innominabile per scaramanzia. Ma la frase usata per la “maledizione” che incombe su circa il 35-40% della popolazione del Paese, colpendo soprattutto chi è nella fascia di età compresa tra i 20 e i 40 anni, potrebbe descrivere anche la situazione attuale di questa terra: oggi scarna, debole, malnutrita, incerta sul futuro politico e socio-economico, fino a dieci anni fa Paese sicuro, stabile, con un buon tasso di scolarizzazione e personale medico qualificato.

In attesa della tempesta
Su quello che era il granaio d’Africa, oggi incombe lo scheletro della fame per la pesante crisi economica: «Circa l’80% della popolazione riceve aiuti alimentari. Prima della riforma agraria del 2000 si produceva ed esportava grano, tabacco e cotone, in cambio di valuta estera. Oggi i pagamenti sono solo in dollari locali e c’è chi specula su cambio illegale di valuta e mercato nero. L’80% della popolazione è disoccupata. Chi ha un posto di lavoro è in uffici statali, fabbriche o negozi, non sa per quanto, dopo due ore potrebbe rimanere per strada. La classe media, legata ad attività artigianali e commerciali, è ridotta all’osso. La gente non può pianificare il futuro. La vita scorre nell’incertezza e nella precarietà costante. Una sorta di quiete in attesa della tempesta». A descrivere il volto umano dello Zimbabwe è il dottor Marco Cernuschi. Medico specializzato in chirurgia generale e vascolare, da quasi trent’anni lavora per organizzazioni internazionali e ong italiane, spostandosi nel Sud del mondo. Alle spalle esperienze in Rwanda, Tunisia, Sri Lanka, Eritrea, Afghanistan, Sudafrica e Zimbabwe appunto. In questo Paese ha messo radici con la famiglia dal 1991. Medico chirurgo per il Queen Mary Hospital di Kadoma, consulente chirurgo per sette ospedali del Mashonaland West a Nord del Paese, responsabile dell’attività clinica e della formazione post-universitaria nel dipartimento di chirurgia dell’Università di Harare, da gennaio 2008 è responsabile per il Cesvi del sostegno al sistema sanitario distrettuale nei distretti di Bindura e Mazowe.

La lotta all’Aids
Progetto triennale, inserito nel programma sanitario e sociale “Fermiamo l’Aids sul nascere” – avviato in Zimbabwe dal Cesvi nel 2001 ed esteso in altri Paesi africani per ridurre la trasmissione del virus dalle mamme sieropositive ai neonati con terapia antiretrovirale – è di supporto sia clinico agli ospedali rurali sia di formazione al personale paramedico. Iniziato a fine agosto del 2007, si rivolge a circa 40 centri rurali di Bindura e Mazowe, nel Mashonaland Central, per un totale di 250 mila abitanti beneficiari. L’obiettivo è garantire il servizio sanitario minimo alla popolazione, educare alla prevenzione contro l’Aids e attuare corsi di formazione per il personale paramedico locale. «Negli ospedali rurali – racconta Cernuschi – mancano medicinali, attrezzature adeguate e personale medico qualificato». Su richiesta del governo il progetto attiverà corsi di formazione gestiti da operatori sociali locali e riguardanti prevenzione della trasmissione materno-infantile dell’Aids; gestione delle scorte di farmaci; vaccinazioni. La fuga dei cervelli, in ambito sanitario e scolastico, è dovuta alla crisi economica, causata dalla riforma agraria. «Ridistribuire le terre era necessario, ma è stato mal gestito. Lo scenario si è aggravato»: proprietari terrieri bianchi espropriati delle proprie aziende agricole, a casa circa 200 famiglie di braccianti. Le terre prima produttive e controllate per il 90% dalla minoranza bianca ora sono ridistribuite secondo criteri clientelari o addirittura incolte. La produzione agricola da industriale è retrocessa alla sussistenza, «mancano gli investimenti e l’esperienza dei farmer, i produttori agricoli bianchi». Questi ritornano in città o espatriano verso i Paesi confinanti (Zambia e Mozambico), dove il governo ha concesso loro terre per 90 anni, così da incrementare produzione e sviluppo. E in Zimbabwe? Carenza di cibo, mancanza di lavoro, inflazione al 150 mila per cento. Mostrando un biglietto da 10 milioni di dollari stampato dalla Banca dello Zimbabwe il primo gennaio 2008, Cernuschi testimonia: «Gli stipendi perdono potere d’acquisto due volte al giorno. Dieci milioni di dollari zimbabwani sono pari a 15 centesimi di dollaro americano. Se all’inizio d’aprile 40 milioni di dollari locali erano pari ad un dollaro americano, dopo una settimana il cambio è salito a 60 milioni». Conseguenza: bocche affamate, mani di bambini tese agli angoli delle strade per chiedere l’elemosina, aumento della delinquenza nei centri urbani, donne che si prostituiscono. Camionisti e soldati malati di Aids. I rapporti sessuali sono la principale causa di contrazione del virus dell’Hiv. Madri contagiate partoriscono figli infetti. Giovani orfani dell’Aids soli o affidati ai nonni, costretti a lavorare per mantenere i nipoti. Per sgravare questo squilibrio sociale è stata aperta dal Cesvi, in coordinamento con due ong locali, la Casa del Sorriso di Harare. Centro diurno, accoglie orfani e ragazzi di strada. Aids, fame, disoccupazione: è la spirale dannata di una situazione sociale squilibrata e deteriorata per la mala gestione di un Paese dalle alte potenzialità per infrastrutture, risorse, turismo. Per alleviare la situazione bisogna investire sulle teste della gente più che in strutture». Cernuschi non si sostituisce ai medici locali, ma li affianca negli interventi istruendoli, «così da renderli autonomi il prima possibile».

Per il progetto sanitario gestito dal Cesvi insieme ai partner locali come l’ospedale Saint Albert, nelle zone rurali l’infermiera italiana Carolina Gurdian affianca il personale paramedico nella cura di malattie, come malaria, dissenteria, influenza, polmonite, nelle vaccinazioni stabilite dal governo, nei reparti di maternità e lo istruisce in prevenzione ed educazione sanitaria contro l’Aids. Negli ospedali di distretto, invece, il dottor Cernuschi esegue insieme ai medici locali interventi ortopedici, ginecologici, ernie, appendiciti: «In Africa ho imparato a riciclarmi. Devi adattarti e ingegnarti a svolgere di tutto con strumenti non appropriati. Se l’operazione è urgente e non c’è nessuno oltre a te, non hai alternativa. Si salta il fosso». Ciò che appartiene alla storia della medicina e ai libri universitari, in Africa diventa realtà. Cernuschi ricorda l’intervento ad un bambino di dieci anni per occlusione intestinale «dovuta a vermi e parassiti, malnutrizione e carenza di igiene. Si parla dell’Africa Africa, quella abbandonata tra terra battuta e capanne di paglia».

da "l'eco di Bergamo"
di Daniela Morandi

giovedì 21 agosto 2008

Siamo tutti degli IPOCRITI_NAZIONALISTI_FASCISTI

Copio, incollo e quoto l'ultimo post di Beppe Grillo perchè rispecchia in TOTO il mio pensiero, mentre ci dimentichiamo di tutte ste morti incredibili....ed il CIO non permette neppure la bandiera a mezz'asta per la Spagna....che contraddizione queste Olimpiadi Nazionaliste, vero?

"Le Olimpiadi di Pechino, ma anche quelle precedenti, lo confesso, mi danno la nausea. Le abolirei. Sono un fantastico baraccone economico che gira il mondo ogni quattro anni. Dove arriva il circo si costruiscono stadi, strade, grattacieli, metropolitane, intere città. Le Olimpiadi sono un trionfo, un orgasmo del cemento.
La torcia accesa non è più simbolo di pace. Il mondo continua le sue guerre, i suoi stermini a sei cerchi. Il Tibet e lo Xinjiang sono finiti sotto il tappeto degli sponsor. La Georgia e l’Ossezia sono stati eventi fastidiosi, hanno tolto spazio al tennis da tavolo e al nuoto sincronizzato. Le Olimpiadi sono un treno impazzito. Se chiedete al macchinista qual è la prossima stazione non saprà rispondervi.
Delle Olimpiadi mi infastidiscono i record fasulli, gli sport olimpici praticati da quattro gatti, gli atleti dopati, l’entusiasmo a comando degli spettatori, le premiazioni in fila per tre. Più di ogni altra cosa, però, è il nazionalismo che mi manda in bestia. Il nazionalismo dello sportivo che piange all’alzabandiera, con la mano sul cuore, lo sguardo perso verso l’alto. Il nazionalismo dei media che danno spazio sempre agli atleti nazionali, anche di discipline improbabili (conoscete qualcuno che giochi a badminton?), anche se lontani dal podio. Le Olimpiadi sono una guerra simulata.
Vorrei atleti senza bandiere. Senza sponsor. Senza un Presidente che li saluta alla partenza e li riceve al ritorno da trionfatori. Vorrei che chi usa i suoi eserciti per uccidere altri esseri umani DURANTE le Olimpiadi sia espulso con infamia e per sempre dai Giochi. I russi che hanno invaso la Georgia, gli americani che occupano l’Iraq, la Cina che schiaccia il Tibet non hanno nessun diritto morale di partecipare o di ospitare i Giochi Olimpici.
L’uomo non è più il centro delle Olimpiadi, le Nazioni hanno preso il suo posto.La grancassa mediatica delle medaglie e delle medagliette ci fa sentire più italiani, più messicani, più coreani. Più diversi. I migliori. Le razze elette."